Testo di legge commentato: cosa cambia per i counsellor?
Disposizioni in materia di professioni non organizzate in Ordini e Collegi.
Testo di legge commentato: cosa cambia per i counsellor?
di Rodolfo Sabbadini
Art. 1 Oggetto e definizioni
1. La presente legge, in attuazione dell’articolo 117, terzo comma, della Costituzione e nel rispetto dei principi dell’Unione europea in materia di concorrenza e di libertà di circolazione, disciplina le professioni non organizzate in ordini o collegi.
2. Ai fini della presente legge, per «professione non organizzata in ordini o collegi», di seguito denominata «professione», si intende l’attività economica, anche organizzata, volta alla prestazione di servizi o di opere a favore di terzi, esercitata abitualmente e prevalentemente mediante lavoro intellettuale, o comunque con il concorso di questo, con esclusione delle attività riservate per legge a soggetti iscritti in albi o elenchi ai sensi dell’articolo 2229 del Codice civile, delle professioni sanitarie e delle attività e dei mestieri artigianali, commerciali e di pubblico esercizio disciplinati da specifiche normative.
3. Chiunque svolga una delle professioni di cui al comma 2 contraddistingue la sua attività, in ogni documento e rapporto scritto con il cliente, con l’espresso riferimento, quanto alla disciplina applicabile, agli estremi della presente legge. L’inadempimento rientra tra le pratiche commerciali scorrette tra professionisti e consumatori, di cui al Titolo III della parte II del Codice del consumo, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206, ed è sanzionato ai sensi del medesimo Codice.
4. L’esercizio della professione è libero e fondato sull’autonomia, sulle competenze e
sull’indipendenza di giudizio intellettuale e tecnica, nel rispetto dei principi di buona fede, dell’affidamento del pubblico e della clientela, della correttezza, dell’ampliamento e della specializzazione dell’offerta dei servizi, della responsabilità del professionista.
5. La professione è esercitata in forma individuale, in forma associata, societaria, cooperativa o nella forma del lavoro dipendente.
Per la legge, una professione non organizzata in ordini o collegi è da riconoscere nell’”attività economica, anche organizzata, volta alla prestazione di servizi o di opere a favore di terzi, esercitata abitualmente e prevalentemente mediante lavoro intellettuale, o comunque con il concorso di questo, con esclusione delle attività riservate per legge a soggetti iscritti in albi o elenchi ai sensi dell’articolo 2229 del Codice civile, delle professioni sanitarie e delle attività e dei mestieri artigianali, commerciali e di pubblico esercizio disciplinati da specifiche normative”.
Senz’altro, dunque, il counselling rientra tra queste professioni.
L’art. 1, a 2° comma, precisa, preliminarmente, che il servizio o l’opera non può comprendere le attività riservate per legge a soggetti iscritti in albi, oppure riconducibili a professioni sanitarie.
Come noto, uno dei problemi più dibattuti in merito alle prassi del counselling riguarda la natura delle tecniche di intervento utilizzate dal professionista, in particolar modo con riferimento agli atti tipici della professione di psicologo (sono ormai chiari e consolidati i confini rispetto alla psicoterapia). La legge richiama chiaramente la necessità di osservare tali confini.
Il problema, è diventato ancor più attuale per la giurisprudenza (almeno fino a quando non si consolideranno orientamenti diversi della magistratura), con la sentenza n. 10289/2011, del tribunale di Milano, ove il giudice ha sottolineato che non è ammissibile: “l’introduzione in una professione non regolamentata (quale quella del counselling) della possibilità di esercitare l’attività degli psicologi e degli psicoterapeuti, rimuovendo lo spartiacque tra atti tipici della professione (dello psicologo ndr) e atti riferibili a tutti e cancellando la riserva che è data dalla legge agli psicologi per la loro valenza sociale, con l’imposizione dei requisiti personali previsti dalla legge stessa”
In buona sostanza, il giudice ci dice – innanzitutto – che il counselling è una professione, e precisamente una professione non regolamentata. Ma ci dice anche che le conoscenze, competenze, identità e statuti propri di tale professione, non possono in alcun caso essere quelli dello psicologo. In altre parole, si esclude che il counsellor possa utilizzare tecniche di intervento psicologiche (sia, o non sia – egli – uno psicologo).
Non si tratta più, quindi, di stabilire se un professionista non iscritto all’albo degli psicologi possa – o meno – esercitare la professione di counsellor, perché si esclude esplicitamente, a priori, che il counselling possa declinarsi nell’esercizio della psicologia e della psicoterapia, indipendentemente dalla matrice professionale dell’operatore.
L’attenzione del giudice, infatti, non si focalizza sull’esigenza di tracciare confini a difesa di questa o di quella professione, bensì sulla necessità di tutelare l’utenza che, rivolgendosi ad uno
psicologo o a uno psicoterapeuta si aspetterà – sì – interventi psicologici o psicoterapici, mentre se si rivolgerà ad un counsellor si aspetterà qualcosa di diverso che – opportunamente – il professionista provvederà a chiarirgli nella fase preliminare/contrattuale del rapporto.
Quanto disposto nel secondo, terzo e quarto comma dell’art. 1 della legge precisa lo stato attuale dei requisiti necessari per esercitare una professione non regolamentata, nel nostro caso la professione di counsellor.
Le condizioni sono quelle che la professione: sia svolta a titolo oneroso (deve essere “economica”), anche in modo organizzato; sia volta alla prestazione di servizi o di opere a favore di terzi, sia esercitata abitualmente e prevalentemente mediante lavoro intellettuale, o comunque con il concorso di questo.
Non è prevista la necessità di una specifica formazione professionale e neppure l’iscrizione ad alcuna associazione o aggregazione professionale di altra natura giuridica.
Chiunque può esercitare la professione di counsellor.
L’esercizio della professione è soggetto alle sole norme del codice civile, in materia di professioni intellettuali (Libro V, Titolo III, Capo II), che ne disciplinano essenzialmente il profilo contrattuale, e alle altre norme che regolano i rapporti tra chi esercita una professione intellettuale e il cliente (es: art. 622 del codice penale, in materia di Rivelazione di segreto professionale; art. 348 del codice penale, in materia di Abusivo esercizio di una professione; il Dlgs. n. 196/03, in materia di trattamento dei dati personali; ecc.).
Naturalmente sarà interesse prioritario del counsellor acquisire un’adeguata preparazione per l’esercizio della professione, se non altro per non correre il rischio di dover risarcire i danni al proprio cliente per non aver esercitato con adeguata perizia la prestazione oggetto del contratto (fatto salvo il caso di problemi tecnici di speciale difficoltà, nel qual caso il professionista risponde solo in caso di dolo o colpa grave).
Come si può rilevare, inoltre, il secondo comma dell’art.1 dispone un nuovo adempimento a garanzia dell’utente, affinché la prestazione offerta non possa essere confusa con quella di altri professionisti. Questa disposizione si sposa perfettamente con quanto disposto dalla sentenza del tribunale di Milano che abbiamo sopra considerato. Si dispone, infatti, che ogni documento che formalizza la promozione oppure la regolazione di rapporti formali con il cliente, rechi la dicitura “intervento di counselling, regolato dalle disposizioni di legge in materia di professioni non organizzate in ordini o collegi”
Le norme contemplate nel comma 4, in particolare, ribadiscono la libertà dell’esercizio della professione, che non è sottoposta ad alcun vincolo e/o adempimento formale, ma al rispetto sostanziale dei principi di buona fede, affidamento, correttezza e responsabilità del professionista, nell’interesse del pubblico e della clientela.
Art. 2 Associazioni professionali
1. Coloro che esercitano la professione di cui all’articolo 1, comma 2, possono costituire associazioni a carattere professionale di natura privatistica, fondate su base volontaria, senza alcun vincolo di rappresentanza esclusiva, con il fine di valorizzare le competenze degli associati e garantire il rispetto delle regole deontologiche, agevolando la scelta e la tutela degli utenti nel rispetto delle regole sulla concorrenza.
2. Gli statuti e le clausole associative delle associazioni professionali garantiscono la trasparenza delle attività e degli assetti associativi, la dialettica democratica tra gli associati, l’osservanza dei principi deontologici, nonché una struttura organizzativa e tecnico-scientifica adeguata all’effettivo raggiungimento delle finalità dell’associazione.
3. Le associazioni professionali promuovono, anche attraverso specifiche iniziative, la formazione permanente dei propri iscritti, adottano un codice di condotta ai sensi dell’articolo 27- bis* del Codice del consumo, di cui al D.lgs n. 206/2005, vigilano sulla condotta professionale degli associati e stabiliscono le sanzioni disciplinari da irrogare agli associati per le violazioni del medesimo Codice.
4. Le associazioni promuovono forme di garanzia a tutela dell’utente, tra cui l’attivazione di uno sportello di riferimento per il cittadino consumatore, presso il quale i committenti delle prestazioni professionali possano rivolgersi in caso di contenzioso con i singoli professionisti, ai sensi dell’articolo 27- ter** del Codice del consumo, di cui D.lgs n. 206/2005 , nonché ottenere informazioni relative all’attività professionale in generale e agli standard qualitativi da esse richiesti agli iscritti.
5. Alle associazioni sono vietati l’adozione e l’uso di denominazioni professionali relative a professioni organizzate in ordini o collegi.
6. Ai professionisti di cui all’articolo 1, comma 2, anche se iscritti alle associazioni di cui al presente articolo, non è consentito l’esercizio delle attività professionali riservate dalla legge a specifiche categorie di soggetti, salvo il caso in cui dimostrino il possesso dei requisiti previsti dalla legge e l’iscrizione al relativo albo professionale.
7. L’elenco delle associazioni professionali di cui al presente articolo e delle forme aggregative di cui all’articolo 3 che dichiarano, con assunzione di responsabilità dei rispettivi rappresentanti legali, di essere in possesso dei requisiti ivi previsti e di rispettare, per quanto applicabili, le prescrizioni di cui agli articoli 5, 6 e 7 è pubblicato dal ministero dello Sviluppo economico nel proprio sito internet, unitamente agli elementi concernenti le notizie comunicate al medesimo Ministero ai sensi dell’articolo 4, comma 1, della presente legge.
Secondo l’art. 2, il professionista potrà “costituire associazioni a carattere professionale di natura privatistica, fondate su base volontaria, senza alcun vincolo di rappresentanza esclusiva, con il fine di valorizzare le competenze degli associati, diffondere tra essi il rispetto di regole deontologiche, favorendo la scelta e la tutela degli utenti nel rispetto delle regole della concorrenza.”
Questo articolo reca la formale legittimazione, per le diverse categorie professionali, di organizzarsi in “associazioni professionali” che, nell’intento del legislatore, avranno, da una parte, la finalità di valorizzare competenze e correttezza deontologica dei professionisti che decideranno di aderire ad esse, dall’altra agevoleranno la tutela dell’utenza.
L’art. 2, tuttavia, chiarisce subito i limiti delle associazioni: primo fra tutti quello di non poter porre alcun vincolo di rappresentanza esclusiva. Il che vuol dire, nel nostro caso, che, in base alla legge, nessun counsellor sarà obbligato ad iscriversi ad alcuna Associazione, né a frequentare obbligatoriamente alcun percorso formativo, se non per una libera scelta personale.
Esattamente come accade oggi.
Questo significa che le competenze delle associazioni, quali sono quelle, per esempio, di garantire l’osservanza dei principi deontologici, di garantire la formazione dei professionisti, di vigilare sulla loro condotta e di sanzionarli in caso di violazioni deontologiche, di intervenire in caso di contenziosi tra professionista ed utente o di dare informazioni sull’attività professionale e sugli standard qualitativi degli operatori, vale solo ed esclusivamente con riferimento ai professionisti che avranno deciso di loro spontanea volontà di aderire ad una associazione, mentre nessuna associazione avrà alcun potere nei confronti dei counsellor che avranno deciso di esercitare la loro attività senza vincoli affiliativi.
Sempre l’art. 2 stabilisce che le Associazioni non possono adottare denominazioni professionali “relative” a professioni organizzate in ordini e collegi e che i professionisti aderenti alle Associazioni non possono, ovviamente, esercitare attività professionali riservate agli iscritti agli ordini o ai collegi.
E’ da ritenere che queste norme siano state pensate specificamente a tutela degli utenti che potrebbero essere tratti in inganno da denominazioni che – in qualche modo – richiamino da vicino una delle professioni normate. Ugualmente a tutela dell’utente è la precisazione, che parrebbe pleonastica, che gli associati non possono svolgere attività riservata ai professionisti iscritti ad un albo, salvo che essi stessi siano iscritti. In realtà la precisazione ha un suo senso nella misura in cui, per esempio, le associazioni sono legittimate a promuovere la formazione permanente dei propri iscritti: è evidente che se le indicazioni delle associazioni andranno nella direzione di sostenere l’apprendimento di competenze riservate dalla legge a professioni ordinistiche si potrebbe addirittura configurare un reato (art. 414 c.p., Istigazione a delinquere). Difatto, questo è un problema che più volte, nei suoi risvolti essenzialmente deontologici, si è già prospettato – nel counselling – con riferimento agli psicologi che insegnano tecniche psicologiche a soggetti non iscritti all’Albo degli psicologi.
Nel nostro caso, dunque, le associazioni non potranno mai promuovere e validare protocolli di intervento, per i loro associati, che comprendano tecniche o strumenti della psicologia.
Esattamente come accade oggi
Art. 3 Forme aggregative delle associazioni
1. Le associazioni professionali di cui all’articolo 2, mantenendo la propria autonomia, possono riunirsi in forme aggregative da esse costituite come associazioni di natura privatistica.
2. Le forme aggregative rappresentano le associazioni aderenti e agiscono in piena indipendenza e imparzialità.
3. Le forme aggregative hanno funzioni di promozione e qualificazione delle attività professionali che rappresentano, nonché di divulgazione delle informazioni e delle conoscenze a esse connesse e di rappresentanza delle istanze comuni nelle sedi politiche e istituzionali. Su mandato delle singole associazioni, esse possono controllare l’operato delle medesime associazioni, ai fini della verifica del rispetto e della congruità degli standard professionali e qualitativi dell’esercizio dell’attività e dei codici di condotta definiti dalle stesse associazioni.
L’art. 3 prevede che le associazioni possano riunirsi in forme aggregative di secondo livello.
In altre parole stabilisce che possano costituire associazioni di associazioni, dove le aggregazioni di secondo livello possono esercitare una sorta di controllo sulle associazioni di primo livello.
Nel nostro caso, per esempio, le numerose associazioni di counselling presenti in Italia, oltre ad acquisire il riconoscimento di associazione professionale ai sensi della legge che stiamo commentando, e pur mantenendo la loro autonomia, potrebbero aggregarsi tra loro in organizzazioni di livello superiore che potrebbero esercitare le funzioni previste dal terzo comma dell’art. 3.
Art. 4 Pubblicità delle associazioni professionali
1. Le associazioni professionali di cui all’articolo 2 e le forme aggregative delle associazioni di cui all’articolo 3 pubblicano nel proprio sito web gli elementi informativi che presentano utilità per il consumatore, secondo criteri di trasparenza, correttezza, veridicità. Nei casi in cui autorizzano i propri associati a utilizzare il riferimento all’iscrizione all’associazione quale marchio o attestato di qualità e di qualificazione professionale dei propri servizi, anche ai sensi degli articoli 7 e 8 della presente legge, osservano anche le prescrizioni di cui all’articolo 81 del decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59***.
2. Il rappresentante legale dell’associazione professionale o della forma aggregativa garantisce la correttezza delle informazioni fornite nel sito web.
3. Le singole associazioni professionali possono promuovere la costituzione di comitati di indirizzo e sorveglianza sui criteri di valutazione e rilascio dei sistemi di qualificazione e competenza professionali. Ai suddetti comitati partecipano, previo accordo tra le parti, le associazioni dei lavoratori, degli imprenditori e dei consumatori maggiormente rappresentative sul piano nazionale. Tutti gli oneri per la costituzione e il funzionamento dei comitati sono posti a carico delle associazioni rappresentate nei comitati stessi.
Art. 5 Contenuti degli elementi informativi
1. Le associazioni professionali assicurano, per le finalità e con le modalità di cui all’articolo 4, comma1, la piena conoscibilità dei seguenti elementi:
a) atto costitutivo e statuto;
b) precisa identificazione delle attività professionali cui l’associazione si riferisce;
c) composizione degli organismi deliberativi e titolari delle cariche sociali;
d) struttura organizzativa dell’associazione;
e) requisiti per la partecipazione all’associazione, con particolare riferimento ai titoli di studio relativi alle attività professionali oggetto dell’associazione, all’obbligo degli
appartenenti di procedere all’aggiornamento professionale costante e alla predisposizione di strumenti idonei ad accertare l’effettivo assolvimento di tale obbligo e all’indicazione della quota da versare per il conseguimento degli scopi statutari;
f) assenza di scopo di lucro.
1. Nei casi di cui all’articolo 4, comma 1, secondo periodo, l’obbligo di garantire la conoscibilità è esteso ai seguenti elementi:
a) il codice di condotta con la previsione di sanzioni graduate in relazione alle violazioni poste in essere e l’organo preposto all’adozione dei provvedimenti disciplinari dotato della necessaria autonomia;
b) l’elenco degli iscritti, aggiornato annualmente;
c) le sedi dell’associazione sul territorio nazionale, in almeno tre Regioni;
d) la presenza di una struttura tecnico-scientifica dedicata alla formazione permanente degli associati, in forma diretta o indiretta;
e) l’eventuale possesso di un sistema certificato di qualità dell’associazione conforme alla norma Uni En Iso 9001 per il settore di competenza;
f) le garanzie attivate a tutela degli utenti, tra cui la presenza, i recapiti e le modalità di accesso allo sportello di cui all’articolo 2,comma 4.
Gli artt. 4 e 5 stabiliscono una serie di principi di trasparenza per l’informazione che le associazioni di primo e secondo livello devono garantire agli aderenti e agli utenti
A tal proposito non pare che le associazioni debbano rispondere a requisiti particolarmente selettivi, sotto il profilo formale, organizzativo e logistico, se non a quelli normalmente richiesti ad
ogni associazione, senza fini di lucro, costituita in forma pubblica e quello di avere “sedi” in tre regioni diverse.
E’ da prevedere, pertanto, almeno in sede di prima applicazione della legge, una sorta di corsa al riconoscimento da parte di vecchie e neonate associazioni. Non è da escludere che verranno legittimate anche le tipiche associazioni che hanno sede e struttura organizzativa “sul tavolo dello studio del presidente”, e un sito internet semestralmente aggiornato.
Art. 6 Autoregolamentazione volontaria
1. La presente legge promuove l’autoregolamentazione volontaria e la qualificazione dell’attività dei soggetti che esercitano le professioni di cui all’articolo 1, anche indipendentemente dall’adesione degli stessi a una delle associazioni di cui all’articolo 2.
2. La qualificazione della prestazione professionale si basa sulla conformità della medesima a norme tecniche Uni Iso, Uni En Iso, Uni En e Uni, di seguito denominate «normativa tecnica Uni», di cui alla direttiva 98/34/Ce del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 giugno 1998, e sulla base delle linee guida Cen 14 del 2010.
3. I requisiti, le competenze, le modalità di esercizio dell’attività e le modalità di comunicazione verso l’utente individuate dalla normativa tecnica Uni costituiscono principi e criteri generali che disciplinano l’esercizio autoregolamentato della singola attività professionale e ne assicurano la qualificazione.
4. Il ministero dello Sviluppo economico promuove l’informazione nei confronti dei professionisti e degli utenti riguardo all’avvenuta adozione, da parte dei competenti organismi, di una norma tecnica Uni relativa alle attività professionali di cui all’articolo 1.
L’art. 6 che stabilisce: “la presente legge promuove l’autoregolamentazione volontaria e la qualificazione dell’attività dei soggetti che esercitano le professioni di cui all’art. 1, anche indipendentemente dall’adesione degli stessi ad una delle associazioni di cui all’art. 2”, e che tale qualificazione sussiste se la prestazione professionale è conforme ad una normativa tecnica UNI che viene elaborata con il contributo, tra gli altri, anche delle Associazioni professionali disciplinate da questa legge.
In sostanza, si ribadisce che il legislatore auspica che i professionisti si autoregolino e qualifichino la loro attività, indipendentemente dal fatto che appartengano o meno ad una Associazione. Tale qualificazione si basa sul fatto che la prestazione professionale sia conforme alla normativa UNI che regola quell’attività.
Ma che cos’è una norma UNI?
L’UNI – Ente Nazionale Italiano di Unificazione – è un’associazione privata che studia, elabora, approva e pubblica le norme tecniche volontarie – le cosiddette “norme UNI” – in tutti i settori industriali, commerciali e del terziario, e quindi anche delle professioni.
Le norme UNI sono documenti che definiscono lo stato dell’arte di prodotti, processi e servizi; specificano cioè “come fare bene le cose” garantendo prestazioni certe. E’ importante sottolineare che le norme UNI riguardano solo gli aspetti procedurali e formali non i contenuti degli interventi; possono riguardare le forme di contrattualizzazione tra professionista e cliente, i modelli della documentazione che regoleranno il rapporto professionale, ecc. Non riguarderà, invece, mai, gli orientamenti teorici, le tecniche o i metodi impiegati dal professionista. Tali aspetti sono sempre ricondotti all’autonomia, alla formazione e alla libera valutazione dell’operatore.
Nel nostro caso la norma UNI sul counselling definirà quali sono le corrette procedure del fare counselling.
Pur non essendo necessaria per l’esercizio dell’attività, la certificazione di conformità alla normativa tecnica UNI rappresenta un indicatore, per l’utente, che un operatore lavora conformemente a quello che è lo stato dell’arte di una professione, così come è stato definito da un gruppo di esperti del settore.
Venendo al counselling, le Associazioni italiane che rispondono ai requisiti richiesti dalla legge avranno la possibilità di collaborare, insieme agli altri organismi interessati, al varo della norma UNI per i counsellor, e contribuire, così, a fare il punto su quale dovrebbe essere lo stato dell’arte della nostra professione.
Certamente si tratta di un riconoscimento di ruolo importante.
Resta tuttavia il fatto che non saranno solo le Associazioni di counselling a partecipare alla redazione della norma, ma anche altre Associazioni, Ordini e Collegi. E’ da ritenere che, quasi certamente, l’Ordine degli Psicologi sarà chiamato a dare il suo contributo.
E’ auspicabile che il confronto in materia di norma UNI sia finalmente il luogo dove gli interessi, troppo spesso contrapposti, delle due categorie di professionisti, troveranno un punto di accordo.
Il fatto che, comunque, non sussista alcun obbligo, da parte di chi esercita la professione di counsellor, di aderire alle Associazioni e di conformarsi alla norma UNI, rimane un grosso limite alla qualificazione della categoria nel suo complesso.
Art. 7 Sistema di attestazione
1. Al fine di tutelare i consumatori e di garantire la trasparenza del mercato dei servizi
professionali, le associazioni professionali possono rilasciare ai propri iscritti, previe le necessarie verifiche, sotto la responsabilità del proprio rappresentante legale, un’attestazione relativa:
a) alla regolare iscrizione del professionista all’associazione;
b) ai requisiti necessari alla partecipazione all’associazione stessa;
c) agli standard qualitativi e di qualificazione professionale che gli iscritti sono tenuti a rispettare nell’esercizio dell’attività professionale ai fini del mantenimento dell’iscrizione all’associazione;
d) alle garanzie fornite dall’associazione all’utente, tra cui l’attivazione dello sportello di cui all’articolo 2, comma 4;
e) all’eventuale possesso della polizza assicurativa per la responsabilità professionale stipulata dal professionista;
f) all’eventuale possesso da parte del professionista iscritto di una certificazione, rilasciata da un organismo accreditato, relativa alla conformità alla norma tecnica Uni.
2. Le attestazioni di cui al comma 1 non rappresentano requisito necessario per
l’esercizio dell’attività professionale.
Art. 8 Validità dell’attestazione
1. L’attestazione di cui all’articolo 7, comma 1, ha validità pari al periodo per il quale il
professionista risulta iscritto all’associazione professionale che la rilascia ed è rinnovata a ogni rinnovo dell’iscrizione stessa per un corrispondente periodo. La scadenza dell’attestazione è specificata nell’attestazione stessa.
2. Il professionista iscritto all’associazione professionale e che ne utilizza l’attestazione ha l’obbligo di informare l’utenza del proprio numero di iscrizione all’associazione.
Art. 9 Certificazione di conformità a norme tecniche Uni
1. Le associazioni professionali di cui all’articolo 2 e le forme aggregative di cui
all’articolo 3 collaborano all’elaborazione della normativa tecnica Uni relativa alle singole attività professionali, attraverso la partecipazione ai lavori degli specifici organi tecnici o inviando all’ente di normazione i propri contributi nella fase dell’inchiesta pubblica, al fine di garantire la massima consensualità, democraticità e trasparenza. Le medesime associazioni possono promuovere la costituzione di organismi di certificazione della conformità per i settori di competenza, nel rispetto dei requisiti di indipendenza, imparzialità e professionalità previsti per tali organismi dalla normativa vigente e garantiti dall’accreditamento di cui al comma 2.
2. Gli organismi di certificazione accreditati dall’organismo unico nazionale di
accreditamento ai sensi del regolamento (Ce) n. 765/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 luglio 2008, possono rilasciare, su richiesta del singolo professionista anche non iscritto ad alcuna associazione, il certificato di conformità alla norma tecnica Uni definita per la singola professione.
L’art. 7 specifica le tipologie di certificazioni che le associazioni possono rilasciare ai propri iscritti e che attengono essenzialmente a caratteristiche che l’associazione medesima riconosce al proprio aderente, su base documentale (effettiva iscrizione, possesso di una polizza assicurativa, possesso di certificazione UNI), o a seguito di verifiche condotte secondo i criteri che l’associazione medesima si è data. Subito dopo, tuttavia, tiene a ribadire che tali attestazioni “non rappresentano requisito necessario per l’esercizio dell’attività professionale”.
L’art. 9 stabilisce la possibilità per le associazioni di contribuire all’elaborazione della norma UNI e “di promuovere la costituzione di organismi di certificazione della conformità per i settori di competenza…”. Ribadisce peraltro che gli organismi di certificazione possono, comunque, rilasciare, su richiesta del singolo professionista, anche non iscritto ad alcuna associazione, la certificazione UNI.
Art. 10 Vigilanza e sanzioni
1. Il ministero dello Sviluppo economico svolge compiti di vigilanza sulla corretta
attuazione delle disposizioni della presente legge.
2. La pubblicazione di informazioni non veritiere nel sito web dell’associazione o il
rilascio dell’attestazione di cui all’articolo 7, comma 1, contenente informazioni non veritiere, sono sanzionabili ai sensi dell’articolo 27 del Codice del consumo, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206, e successive modificazioni.
Art. 11 Clausola di neutralità finanziaria
1. Dall’attuazione degli articoli 2 ,comma 7, 6, comma 4, e 10 non devono derivare nuovi
o maggiori oneri a carico del bilancio dello Stato. Il ministero dello Sviluppo economico provvede agli adempimenti ivi previsti con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.
In conclusione, possiamo dire che la legge sembra essenzialmente strutturata per legittimare le associazioni ad organizzare e governare una fetta del mercato delle professioni non regolamentate, costituita da quei professionisti che sentono l’esigenza di poter vantare una sorta di certificazione di efficienza e serietà, che non possono attingere da fonti diverse (es: una reputazione consolidata presso gli utenti potenziali, un diploma rilasciato da una scuola conosciuta e accreditata sul territorio, una rete professionale che garantisce l’afflusso costante di clientela, ecc.) svolgendo un ruolo decisivo nella definizione delle prassi che dovrebbero essere praticate dai professionisti che rappresentano, nella definizione dei percorsi formativi che essi devono osservare, nel controllo del loro comportamento deontologico.
Ciò ha portato alcune associazioni (per esempio l’Associazione Consulenti Terziario Avanzato http://www.actainrete.it/2012/12/considerazioni-sulla-%E2%80%9Clegge-sulle-professioni-non-regolamentate%E2%80%9D/) a temere che la legge si riveli poco di più o di diverso da un ricco business, in materia di formazione e di certificazione, nell’interesse prevalente delle associazioni.
Poco, o nulla, cambierà, invece, per i professionisti che decideranno di continuare ad operare liberamente, senza aderire ad alcuna Associazione e senza richiedere la certificazione UNI che le Associazioni potranno contribuire a scrivere.
Per quanto ci riguarda, si moltiplicheranno – certamente – le tipologie di counsellor attivi sul mercato. D’ora in avanti potranno operare liberamente e legittimamente professionisti:
– senza alcuna formazione o titolo;
– titolari di un diploma o attestato rilasciato da un qualsivoglia istituto di formazione, e indipendentemente dai contenuti e dalla durata della formazione medesima;
– titolari di un diploma o attestato rilasciato da istituti di formazione accreditati sul piano scientifico e operanti secondo gli standard europei, ma non iscritti ad alcuna associazione e non certificati UNI;
– diplomati presso istituti accreditati e iscritti ad una associazione, ma non certificati UNI;
– diplomati presso istituti accreditati, iscritti ad una associazione e certificati UNI.
Ribadiamo: tutte queste categorie di professionisti potranno liberamente e legittimamente operare sul mercato, semplicemente osservano le norme di legge, che interessano tutte le professioni intellettuali, specificate in apertura del presente commento.
Per quanto riguarda il beneficio per l’utenza, naturalmente esso sarà direttamente proporzionale a quanti saranno i professionisti che aderiranno alle associazioni e che chiederanno le certificazioni.
Certo, molto dipenderà, da:
– quanto le scuole di formazione per counsellor si riconosceranno nelle prassi recepite dalla norma UNI e in che misura, quindi, sponsorizzeranno l’adesione dei propri allievi;
– quali saranno le quote di iscrizione alle associazioni;
– quali saranno i costi per promuovere la propria formazione permanente e per adeguarsi ai periodici rituali di rinnovo delle qualificazioni;
– quali saranno i costi a carico dei professionisti per acquisire (e periodicamente rinnovare) la certificazione UNI.
NOTE
* Art. 27- bis del Codice di Consumo Codici di condotta
1. Le associazioni o le organizzazioni imprenditoriali e professionali possono adottare, in relazione a una o piu’ pratiche commerciali o ad uno o piu’ settori imprenditoriali specifici, appositi codici di condotta che definiscono il comportamento dei professionisti che si impegnano a rispettare tali codici con l’indicazione del soggetto responsabile o dell’organismo incaricato del controllo della loro applicazione. 2. Il codice di condotta e’ redatto in lingua italiana e inglese ed e’ reso accessibile dal soggetto o organismo responsabile al consumatore, anche per via telematica. 3. Nella redazione di codici di condotta deve essere garantita almeno la protezione dei minori e salvaguardata la dignita’ umana. 4. I codici di condotta di cui al comma 1 sono comunicati, per la relativa adesione, agli operatori dei rispettivi settori e conservati ed aggiornati a cura del responsabile del codice, con l’indicazione degli aderenti. 5. Dell’esistenza del codice di condotta, dei suoi contenuti e dell’adesione il professionista deve preventivamente informare i consumatori.
** Art. 27-ter del Codice di Consumo Autodisciplina
1. I consumatori, i concorrenti, anche tramite le loro associazioni o organizzazioni, prima di avviare la procedura di cui all’articolo 27, possono convenire con il professionista di adire preventivamente, il soggetto responsabile o l’organismo incaricato del controllo del codice di condotta relativo ad uno specifico settore la risoluzione concordata della controversia volta a vietare o a far cessare la continuazione della pratica commerciale scorretta. 2. In ogni caso il ricorso ai sensi del presente articolo, qualunque sia l’esito della procedura, non pregiudica il diritto del consumatore di adire l’Autorita’, ai sensi dell’articolo 27, o il giudice competente. 3. Iniziata la procedura davanti ad un organismo di autodisciplina, le parti possono convenire di astenersi dall’adire l’Autorita’ fino alla pronuncia definitiva, ovvero possono chiedere la sospensione del procedimento innanzi all’Autorita’, ove lo stesso sia stato attivato anche da altro soggetto legittimato, in attesa della pronuncia dell’organismo di autodisciplina. L’Autorita’, valutate tutte le circostanze, puo’ disporre la sospensione del procedimento per un periodo non superiore a trenta giorni.
*** Art. 81 Dlgs. n. 59/2010 (Marchi ed attestati di qualità dei servizi)
1. I soggetti, pubblici o privati, che istituiscono marchi ed altri attestati di qualità relativi ai servizi o sono responsabili della loro attribuzione, rendono disponibili ai prestatori ed ai destinatari, tramite pubblicazione sul proprio sito internet, informazioni sul significato dei marchi e sui criteri di attribuzione dei marchi e degli altri attestati di qualità, dandone contemporaneamente notizia al Ministero dello sviluppo economico ed evidenziando se si tratta di certificazioni rilasciate sulla base del sistema di accreditamento di cui al Regolamento (CE) n. 765/2008, del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 luglio 2008.
2. Le violazioni delle disposizioni di cui al comma 1 sono valutate ai fini della individuazione di eventuali azioni ingannevoli o omissioni ingannevoli ai sensi degli articoli 21 e 22 del decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206, e successive modificazioni, recante il codice del consumo, anche ai fini dell’applicazione delle sanzioni di cui all’articolo 27 del medesimo codice.”.