TAR Toscana: sentenza del 14 Marzo 2018 in tema di appalto di servizi di counseling

La nuova sentenza del TAR Toscana (cfr. link in calce), pur non rinnovando in nulla la giurisprudenza consolidata in materia, è utile perché ribadisce alcuni principi da tempo consolidati in sede civile, penale e amministrativa:

  • il counselling è una professione, ed è una professione non organizzata in ordini o collegi, ai sensi del comma 2 dell’art. 1 della Legge del 14 Gennaio 2013, n. 4. Pertanto può essere esercitata ai sensi della legge succitata;
  • devono restare escluse dal suo ambito operativo le attività’ riservate  per legge a soggetti iscritti in albi o elenchi ai sensi  dell’art.  2229 del codice civile, come, per esempio, gli avvocati, i commercialisti, gli assistenti sociali, i giornalisti, i medici, gli infermieri, gli psicologi. L’ambito operativo di queste tre ultime categorie è doppiamente protetto perché la legge esplicitamente vieta l’esercizio di attività sanitarie.

I principi contenuti nelle norme predette sono compresi implicitamente o esplicitamente nelle motivazioni di diverse sentenze (Tribunale di Milano 25 Maggio 2011; Tribunale di Lucca 18 Marzo 2010; Tribunale di Milano (Bertja) 2008; Cass. 5 Giugno 2006; Tribunale di Milano 29 Novembre 2005).

Tali sentenze convengono pressoché unanimemente sul fatto che il counselling esiste, e viene legittimamente esercitato, finché non viola l’art. 1 della legge 56/89 che riserva agli psicologi gli strumenti conoscitivi e di intervento  per la  prevenzione,  la diagnosi,  le attivita’ di abilitazione-riabilitazione  e  di sostegno  in  ambito psicologico rivolte alla persona, al gruppo, agli organismi sociali e alle comunita’.

Infine la sentenza del TAR Lazio.

Bisogna sempre tener presente che tale sentenza non ha affatto disconosciuto il libero esercizio del counselling. Ha, invece, ritenuto che una specifica definizione di counselling (quella contestata dal CNOP) non consenta “a questi operatori di non sconfinare nel campo proprio degli psicologi” e che, pertanto, sia illegittimo l’esercizio di un counselling riconducibile a quella specifica definizione. Vedremo se gli esiti dell’impugnazione davanti al Consiglio di Stato di tale sentenza confermeranno quanto già sancito dal TAR Lazio.

Si tratta, dunque, di “capire di cosa stiamo parlando quando parliamo di counselling”. E cioè dobbiamo stabilire quali sono gli scopi del counselling, nonchè le parole e le azioni, le tecniche infine, attraverso le quali riteniamo che l’esercizio del counselling si declini. A tutt’oggi, infatti, non dimentichiamolo, non esiste una definizione formalmente sancita di counselling, e nessuno – se non la legge o una giurisprudenza consolidata che ad oggi manca sul piano definitorio – ha la potestà di formularne una con efficacia erga omnes. Partendo da una definizione condivisa o, addirittura stabilita per legge, potremo andare a definire gli atti specifici del counsellor che – ricordiamo – non dovranno violare l’art. 1 della legge n. 56/89.

Infine, per quanto riguarda i titoli necessari per accedere al concorso (diploma di scuola media superiore e attestato di abilitazione), si tratta di requisiti richiesti dall’appaltatore che – ovviamente – non possono, di nuovo, essere previsti come requisiti necessari per l’esercizio della professione con efficacia erga omnes.

 

https://www.giustizia-amministrativa.it/cdsintra/cdsintra/AmministrazionePortale/DocumentViewer/index.html?ddocname=CBA6EP46EKP5BEU7BUW6UQ2JT4&q=Counselling&fbclid=IwAR1Q1QP4celOTFNsLpuO-XORkrxHOcu_xdoUXGV9bsokStWmFkGtlSPwPVc